di Eleonora Ciccone
Sommario: I. Introduzione; II. Cos’è un brevetto; III. Il valore del brevetto; IV. Metodi di valutazione; V. Investire in Ricerca e Sviluppo: strategie e rischi; VI. Conclusioni
I. Introduzione
In un contesto economico in continua trasformazione, è importante far emergere la funzione operativa della Proprietà Industriale nella creazione di valore economico, al fine di consentire alla imprese di accrescere la loro competitività sul mercato, attraverso lo sfruttamento dei diritti di Proprietà Intellettuale e, nello specifico, dei brevetti. Questi ultimi rappresentano un valore economico legato alle possibilità di utilizzo dell’innovazione protetta dal brevetto stesso sul mercato.
Da un uso della Proprietà Industriale che viene percepita dalle aziende come mero costo e, come tale, non sempre affrontabile soprattutto dalle piccole e medie imprese, si sta tentando di passare ad un utilizzo in funzione strategica, al fine di determinare i propri vantaggi competitivi e stare sul mercato.
Una delle sfide più affascinati per la scienza economica di oggi, a livello corporate, è riuscire a trovare una metodologia efficace per la valutazione degli intangible assets e, in modo particolare, dei brevetti. Tale valutazione economica è un’attività non monetaria identificabile, priva di consistenza fisica e posseduta per essere utilizzata nella produzione o fornitura di beni o servizi, per affitto a terzi o per fini amministrativi.
Tuttavia, il valore economico dei brevetti non è il suo prezzo. Esistono una pluralità di valori a seconda degli obiettivi che ci si prefigge, in altre parole: “trying to make inventions as marketable as the products built from them” [1]
Da un punto di vista prettamente economico, l’incertezza nella valutazione dei brevetti causa un’allocazione sub-ottimale nel mercato ed un consecutivo sotto sfruttamento delle risorse.
Arrow (1961) aveva già posto in passato questo problema, sebbene riferendosi alla non completa appropriabilità di tali risorse. Tuttavia, un sistema che consenta di valutare correttamente tutti gli intangible, informazioni e conoscenza prodotta comprese, potrebbe, di fatto, portare alla soluzione dei fallimenti di mercato tipici di questi beni. [2]
Se nell’ambito degli studi aziendali, l’interesse suscitato dai brevetti è dovuto all’importanza strategica di questi assets, creando la necessità di metodi di valutazione sempre più precisi, nell’ambito della teoria economica, invece, questo interesse ha un altro tipo di spiegazione. Infatti, grazie allo studio delle statistiche brevettuali [3], si possono trovare risposte ad una serie di quesiti, sia a livello microeconomico, su argomenti riguardanti per esempio la produttività della R&S, oppure sulle traiettorie tecnologiche di un’azienda o di un settore, sia a livello macroeconomico e di policy. Questo perché le statistiche sui brevetti possono essere un’efficiente misura del progresso tecnologico di un paese o del trasferimento di conoscenza (knowledges pillovers).
Il seguente lavoro si propone di illustrare il valore economico creato dai brevetti. Esso rappresenta l’incremento del valore aziendale derivante dallo sfruttamento della nuova tecnologia brevettata. Pertanto, l’innovazione tecnologica e, in particolare, l’attività di ricerca e sviluppo, assumono un ruolo di primo piano nell’economia moderna. Sono strumenti strategici per la concorrenza internazionale: da un lato decisivi per il miglioramento continuo delle produzioni più tradizionali, dall’altro sono la fonte principale per nuove produzioni di beni e di servizi.
In primo luogo, ci si focalizzerà sull’importanza delle innovazioni sviluppate all’interno dell’impresa sulla base della valutazione economica di un brevetto. Secondo, si passerà ad esaminare in che modo sfruttarle in maniera da ricavarne vantaggi economici attraverso contratti di licenza, cessione o trasferimenti di tecnologia. Infine, si cercherà di capire se e perché investire in R&S, con un breve cenno sui differenti risvolti che si hanno a livello europeo e statunitense.
In questo ambito, il tema della Proprietà Intellettuale è un elemento fondamentale di analisi, inteso come fonte di finanziamento e capitalizzazione dell’impresa e di possibile attrazione per investitori privati (business angel e venture capitalist). I diritti di proprietà intellettuale (Intellectual Property Rights) sono, infatti, le armi strategiche per lo sviluppo dell’innovazione tecnologica e per la penetrazione dei mercati esteri. Gli IPRs sono elementi costitutivi della nuova ricchezza e, allo stesso tempo, condizione essenziale del suo sviluppo.
II. Cos’è un brevetto
Come prima cosa, per poter valutare un brevetto, bisogna ben definirlo: il brevetto è un titolo legale che viene rilasciato da un ufficio amministrativo, previo esame, che riconosce la proprietà intellettuale di un inventore su di un’invenzione (di prodotto o di processo), e che gli consente di proteggere questo suo diritto esclusivo (art. 45 C.P.I.). Per ottenere questo documento legale, l’invenzione deve rispettare i seguenti criteri: deve essere brevettabile, nuova, non ovvia, utilizzabile. Il titolo legale conferito, dà il diritto, al titolare, di escludere gli altri dal fare tipologie di prodotti o di processi che ricadano sotto la protezione legalmente acquisita. A fronte di questo monopolio legale temporaneo, generalmente 20 anni [4], lo Stato ottiene la rivelazione dell’invenzione: elemento fondamentale, infatti, della domanda di brevetto, è la spiegazione delle caratteristiche dell’invenzione al fine di consentire la riproduzione della stessa. Lo scopo del sistema brevettuale è semplice: fornire gli incentivi alla ricerca da un lato e far sì che le scoperte e la conoscenza, dopo un certo periodo, diventino di pubblico dominio.
Appare chiaro che, dal punto di vista dell’inventore, il titolo legale acquisito, cioè il brevetto, sia un sistema di protezione dell’invenzione. Valutare un brevetto non vuol dire, quindi, valutare l’invenzione che lo sottende, bensì valutare l’efficacia della protezione che l’inventore si garantisce. La concessione di un brevetto dà, infatti, un diritto esclusivo, ma non illimitato e che potrebbe essere minacciato dagli esiti incerti di un’azione legale.
Ricordiamo inoltre che, oltre a dover “svelare” la sua invenzione, il proprietario del brevetto affronta dei costi non indifferenti: egli dovrà, infatti, pagare sia per presentare la domanda di brevetto, sia per rinnovare, fino a scadenza, il brevetto stesso. Quindi, potrebbe convenire all’inventore, qualora i costi superino i benefici, proteggere l’invenzione in altro modo, per esempio optando per la segretezza [5].
III. Il valore del brevetto
Il valore economico di un brevetto dipende da almeno tre elementi: la tecnologia protetta, la cui qualità è segnalata, per esempio, dalle citazioni ricevute da brevetti successivi; l’efficacia della protezione dall’imitazione (il proprietario di una tecnologia non protetta non può appropriarsi pienamente dei benefici economici della stessa tecnologia); il potenziale strategico.
Per quanto riguarda quest’ultimo elemento, è evidente che molte imprese, per esempio nell’elettronica e nella farmaceutica, possiedono grandi portafogli di brevetti per motivi strategici. Una quota significativa di questi brevetti, infatti, non viene mai usata direttamente ma serve come merce di scambio per accedere ad altri brevetti o per bloccare invenzioni concorrenti o complementari (blocking patents).
In settori caratterizzati da cambiamento tecnologico cumulativo, come il software e i semiconduttori, è probabile che lo sviluppo di un’invenzione richieda l’accesso a numerosi brevetti precedenti. I costi per stipulare accordi di licenza per l’uso di decine di brevetti collegati (patent thickets) possono scoraggiare invenzioni successive. I proprietari di patent thickets a volte stipulano accordi (patent pools) per lo sfruttamento congiunto dei loro brevetti. I patent pools [6] riducono i costi di transazione ma possono anche produrre effetti anti competitivi quando comportano un’elevata concentrazione di tecnologie di base.
Quindi: il valore economico che i brevetti rivestono per un’azienda è da individuare nel contributo, non sempre esattamente quantificabile, che essi apportano ai suoi profitti. Tale contributo può esplicarsi in vari modi:
Fabbricazione e vendita del prodotto in esclusiva; Concessione di licenze; Cessione del brevetto; Condizione di maggior favore nel trasferimento di tecnologie; Aumento di prestigio – Ottenimento di commesse e finanziamenti; Effetto stimolante nei confronti dell’attività di ricerca e sviluppo; Conquista di una posizione dominante.
Analizziamo il primo caso. Supponiamo che una ditta decida di sfruttare in proprio il brevetto senza concessione di licenze a terzi. Il ritorno economico si desume principalmente da due fattori: il volume delle vendite derivante dalla commercializzazione del prodotto in esclusiva e la possibilità di praticare un prezzo di monopolio. Data per scontata l’esigenza di rendere remunerativi gli investimenti sostenuti per la ricerca e lo sviluppo del prodotto brevettato, l’opportunità di scegliere questa forma di sfruttamento viene valutata prendendo in considerazione i seguenti fattori.
-La frazione di mercato che può essere servita dai propri canali di distribuzione e di vendita.
La vendita del prodotto in esclusiva presuppone, infatti, la possibilità di servire la più ampia parte del mercato potenziale.
-Le dimensioni dell’azienda e le risorse disponibili. Se le dimensioni dell’azienda e le sue risorse non sono tali da permettere quell’espansione che consentirebbe uno sfruttamento a pieno delle possibilità del mercato, oppure se tali risorse sono troppo limitate rispetto agli investimenti necessari allo sviluppo e alla realizzazione dell’apparato produttivo, la ricerca di licenziatari diventa la soluzione migliore. Questo è vero in particolare nei casi in cui lo sfruttamento industriale dell’invenzione richieda l’impiego di tecnologie molto avanzate. Infatti, ci sono aziende che pur avendo realizzato importanti innovazioni tecnologiche e avendo tentato la via del loro diretto sfruttamento, hanno finito per soccombere alle notevoli spese di sviluppo del prodotto e di messa a punto degli impianti produttivi. Altre invece, avendo affidato lo sfruttamento a grossi complessi industriali, ne hanno tratto grossi benefici economici.
-L’efficacia della protezione brevettuale. La protezione brevettuale, e in particolare la forza dei brevetti, deve essere tale da scoraggiare i possibili concorrenti da azioni di contraffazione, di annullamento o aggiramento dei brevetti. Questo requisito è tanto più importante quanto più limitate sono le dimensioni dell’azienda e quanto più ingenti sono gli investimenti richiesti per portare l’invenzione fino allo stadio di sfruttamento industriale.
Quanto al numero dei brevetti, laddove si tratta di una invenzione che fa da pioniere in un settore e condiziona gli ulteriori sviluppi, utilizzazioni e perfezionamenti nel settore, possono essere sufficienti pochi brevetti di elevata forza ed efficacia. Quando, invece, si tratta di una invenzione in un settore già ampiamente conosciuto, risulta generalmente più facile ai concorrenti rinvenire soluzioni alternative. Di solito è richiesto il possesso di un maggior numero di brevetti rivolti ad impedire ogni aggiramento dell’invenzione, e un costante impegno del loro titolare a introdurre a tempo debito successivi perfezionamenti. In questo modo si manterrà il prodotto costantemente competitivo.
-I prezzi praticabili. Si tratta di valutare i prezzi praticabili in relazione alle caratteristiche più o meno competitive del prodotto, al tipo di bisogno che soddisfa e all’efficacia della protezione brevettuale.
Nel valutare questo aspetto occorre tener presente che, se da un lato un alto margine di utile lascia ben sperare per una facile remunerazione degli investimenti, dall’altro esso può incoraggiare i concorrenti alle azioni di contraffazione o annullamento del brevetto o alla ricerca di prodotti sostitutivi.
-Le norme in materia di attuazione obbligatoria. Occorre accertare se il paese che si considera ai fini dello sfruttamento della privativa non preveda norme di attuazione obbligatoria del brevetto tramite fabbricazione in loco. Altresì si deve valutare se è ammesso la commercializzazione del prodotto su importazione dello stesso.
Il secondo caso che analizzeremo, invece, fa riferimento alla cessione di licenza [7]. È il caso di un brevetto che il suo titolare decide di concedere in licenza a terzi. In questa ipotesi, il valore economico è da calcolare principalmente sulla base delle royalties che verranno previste nel contratto di licenza. Generalmente esse vengono fissate sulla base di valori di mercato. In assenza di essi può essere adottato un criterio che è quello che fa corrispondere il valore della royalty al 25-33% degli utili derivanti al licenziatario dalla vendita del prodotto, supposto che lo stesso sia già stato completamente sviluppato dal licenziante sino allo stadio di produzione e di vendita. Infatti, i valori più alti delle royalties si riscontrano solitamente per prodotti a valore aggiunto più elevato, mentre in industrie a grande volume produttivo e competitività severa (un esempio è il settore automobilistico) la royalty può scendere a valori assai contenuti.
In aggiunta al ritorno economico costituito dalle royalties, al titolare del brevetto possono derivare altri vantaggi quali ad esempio:
- la possibilità di ottenere dal licenziatario licenze su suoi brevetti. Possono essere di sensibile importanza commerciale o su eventuali futuri brevetti relativi a perfezionamenti apportati alle tecnologie del licenziante.
- possibilità di allargare notevolmente il mercato del prodotto sotto licenza. Ciò avviene sfruttando sia i canali di vendita del licenziatario, sia la sua abilità di intravedere e introdurre eventuali nuovi usi del prodotto sotto licenza. È doveroso evidenziare l’opportunità che questo possibile allargamento di mercato avvenga all’inizio della vita del brevetto e non alla sua fine o addirittura dopo di essa, allo scopo di assicurare al titolare del brevetto il massimo tornaconto.
Terzo, il brevetto può essere ceduto. La vendita di un proprio brevetto è una eventualità poco frequente per una azienda che svolge un’ attività industriale. Più frequente è invece il caso opposto, quello del suo acquisto, che spesso viene concluso con un inventore privato, uno studio di progettazione o un centro di ricerca. Le condizioni dell’acquisto possono prevedere il pagamento di una somma una tantum oppure una forma di pagamento simile a quelle previste nei contratti di licenza. La somma è determinata con criteri del tutto analoghi, ed equipara del resto la cessione di un brevetto ad una licenza esclusiva concessa per tutta la durata del brevetto.
Si possono anche verificare condizioni di maggior favore nel trasferimento di tecnologie [8].
La presenza di brevetti svolge una funzione importante anche nella stipulazione di contratti di assistenza tecnica e di trasferimento di know-how. Si può dire in modo più generale che la presenza congiunta di brevetto e know-how in contratti di licenza fa sì che l’uno rafforzi l’altro.
Infatti, la licenza che verte contemporaneamente su brevetti e relativo know-how ha, rispetto alla licenza sui soli brevetti, il vantaggio di eliminare al licenziatario il rischio e l’onere degli investimenti necessari per lo sviluppo del prodotto e la messa a punto dell’apparato produttivo.
Di contro, il contratto di licenza sul solo know-how ha i seguenti svantaggi.
In primis, in caso di rottura o di scadenza del contratto il know-how già dato in licenza costituisce un bagaglio di conoscenze tecnologiche che rimane patrimonio del licenziatario e può metterlo nelle condizioni di proseguire autonomamente la propria attività.
In secondo luogo, in caso di divulgazione accidentale, il know-how diventa di dominio pubblico ed è quindi sottratto ad alcuna possibilità di tutela.
Terzo, conformemente a certe legislazioni, il semplice contratto di know-how non può autorizzare il licenziante a delimitare territorialmente l’area di attività del licenziatario.
Risulta quindi che la possibilità di inclusione di brevetti nei contratti di licenza pone solitamente il licenziante in una posizione di maggior favore offrendo i seguenti vantaggi: possibilità di stipulare contratti di maggior durata, maggior ammontare delle royalties, maggior affidamento per quanto riguarda la protezione delle proprie tecnologie, possibilità di un più sicuro controllo e definizione dell’area geografica in cui potrà operare il licenziatario.
Inoltre, il possesso di numerosi brevetti riguardanti un determinato settore, in particolare se si tratta di settori all’avanguardia nella specializzazione tecnica e nella rapidità evolutiva, contribuisce ad aumentare il prestigio del titolare e crea nel pubblico l’immagine di una azienda protesa verso posizioni avanzate, costantemente impegnata in attività innovative e creative.
Altra possibilità è quella offerta dall’esistenza di uno o più brevetti di chiara efficacia e riguardanti un prodotto in fase di sviluppo e commercialmente promettente. In tal caso il brevetto, offrendo una difesa contro le possibili imitazioni, consente più sicure previsioni di vendita. Costituisce in tal modo un titolo di garanzia per l’ottenimento di finanziamenti.
Un altro aspetto da considerare nel valutare il valore economico dei brevetti, è l’effetto stimolante che una politica rivolta all’ottenimento e alla conservazione di un portafoglio brevetti esercita nei confronti dell’attività innovativa e creativa dei tecnici e dei ricercatori. Infatti, più aumenta in una azienda l’importanza attribuita ai brevetti e più cresce nei ricercatori la consapevolezza di poter vantare come titolo di merito la loro paternità di una o più invenzioni.
Può inoltre verificarsi il caso di conquista di una posizione dominante. Per la conquista di una posizione dominante, o comunque competitiva nei confronti dei maggiori concorrenti a livello internazionale, è essenziale il possesso di un nutrito portafoglio brevetti. La costituzione e il mantenimento di tale portafoglio è infatti una regola dei più importanti colossi industriali internazionali. Esso si compone solitamente di una ristretta parte di brevetti di chiara forza, la cui esistenza è legata a prodotti di spiccato interesse commerciale, e di una restante parte di minor forza o non legati direttamente alla difesa commerciale di determinati prodotti. In questo secondo caso la loro esistenza è giustificata in modo quasi esclusivo dall’esigenza di assicurare un determinato volume al portafoglio. Questo perché, solitamente, negli scambi di licenze fra importanti colossi industriali il volume del portafoglio può giocare un ruolo molto importante e offrire la possibilità di sgravare la propria produzione dal pagamento di royalties. Infatti, se i portafogli delle due parti sono di consistenza equivalente, la licenza può essere conclusa in forma reciproca senza oneri da entrambe le parti. Il risparmio economico che si viene così a realizzare risulta particolarmente sensibile nel caso di licenze reciproche estese all’intero portafoglio brevetti. Se tali licenze fossero invece concluse sulla base del pagamento di un compenso, porterebbero in molti casi all’esborso di una royalty sull’intero fatturato, e quindi al pagamento di un compenso assai elevato.
Tuttavia, il valore di un brevetto è cosa diversa dal valore dell’implicito diritto di tutela e dipende sempre dal mercato di riferimento. Inoltre, è sempre soggettivo nel senso che dipende dalle possibilità, aspettative e motivazioni individuali del soggetto che pone in essere la valutazione.
La valutazione del brevetto non può prescindere da valutazioni relative ad investimenti alternativi; si basa sulle aspettative di rendimento economico futuro attese dalla titolarità del diritto di tutela e pertanto dai vantaggi competitivi che si ottengono a mezzo dello stesso.
È bene sottolineare che il risultato della valutazione deve essere esplicitato in termini di rendimento economico ipotizzando un sistema orientato esclusivamente ad un obiettivo puramente finanziario.
D’altro canto, la valutazione del brevetto è fortemente influenzata dagli altri skills (come la capacità manageriale). È altresì fortemente influenzata dai vantaggi competitivi di cui dispone il titolare. Pertanto la valutazione sarà tanto più efficace quanto migliori e più complete sono le informazioni relative al contesto economico in cui si opera. Per questo ci sono molteplici approcci valutativi che possono portare a risultati divergenti, e non esiste una valutazione del brevetto unica ed oggettiva.
Così, riprendendo Pitkethly (1997), potremmo aggiungere un’altra rigorosa definizione: il valore di un brevetto è dato dal flusso scontato degli extraprofitti garantiti dalla protezione brevettuale rispetto ai profitti garantiti da altri tipi di protezione o in assenza di protezione [9].
Un’ulteriore definizione del valore brevettuale, ripresa da Reitzig (2002), parte invece dal presupposto che il brevetto garantisca degli extraprofitti, ma che ciò non impedisca di avere dei concorrenti sul mercato del prodotto brevettato. Il Patent Value è, dunque, definito come la differenza tra i profitti futuri scontati del proprietario del brevetto e i profitti nel caso in cui lo detenga il suo diretto concorrente di mercato [10].
In formule:
Laddove πII rappresenta i profitti del detentore del brevetto, πCIi profitti del brevetto nel caso in cui fosse il suo diretto concorrente (anziché lui) a possedere il brevetto. Abbiamo poi prezzi, quantità e costi dell’incumbent I (detentore del brevetto), quelli del competitor C ed infine prezzi, quantità e costi contrafattuali, indicati con l’asterisco.
Ovviamente, queste definizioni del valore di un brevetto sono solo i presupposti teorici per successive analisi, poiché sebbene affascinanti sono suscettibili di difficile applicabilità.
Infatti, sussistono una serie di criticità legate alla valutazione economica di un brevetto.
Innanzitutto, bisogna considerare gli alti livelli di incertezza legale, tecnica e di mercato sui risultati attesi. È necessario anche valutare la forte eterogeneità nella distribuzione del valore dei brevetti e le difficoltà nel trovare transazioni comparabili per l’estensione limitata dei mercati delle tecnologie. Inoltre, un brevetto può dipendere da altri brevetti e know-how sottostanti, a cui può aggiungersi la difficoltà a separare l’effetto del brevetto da quello di altri meccanismi di protezione (es. marchi, risorse complementari). Infine, ma non di minore importanza, sono necessarie competenze multidisciplinari per effettuare la valutazione [11].
IV. Metodi di valutazione
La valutazione economica di un intangibile asset dovrebbe essere esplicitata in termini di capacità di generare utili e di interpretare eventuali rischi futuri connessi all’investimento, in modo tale da fornire le dovute informazione e prendere le opportune decisioni in campo economico e finanziario.
Il metodo è funzione degli obiettivi della valutazione. Quest’ultima può essere finalizzata alla redazione del bilancio di esercizio per le aziende (valore patrimoniale); al reperimento di fonti finanziarie; alla valutazione del potenziale reddituale di un’azienda propedeutico a procedimenti di fusione o acquisizione; può essere utile alla risoluzione di contenziosi per illeciti legali; finalizzata al monitoraggio dei risultati della R&S ed al relativo trasferimento tecnologico; utilizzata per operazioni commerciali diverse dalle precedenti (licensing); finalizzata ad operazioni di transfer pricing per motivi di fiscalità [12].
Ci sono due tipi di approcci della scienza economica alla valutazione dei brevetti: uno di tipo modellistico e normativo; l’altro di tipo empirico e descrittivo. I metodi analitici hanno un fondamento scientifico più solido e una maggiore tradizione anche in sede professionale. Essi si fondano anzitutto su un approccio reddituale-finanziario, al fine di stimare quanto vale oggi un asset sulla base dei rendimenti futuri attesi, ovvero, una stima dei costi sostenuti o di riproduzione/rimpiazzo.
I metodi empirici, invece, in quanto tali, si fondano sull’osservazione pratica dei prezzi di mercato dei beni immateriali sufficientemente simili e, di conseguenza, comparabili.
Il primo filone analizza, attraverso modelli di stampo neoclassico, alcune determinanti dei brevetti. Le determinanti esaminate da tali modelli, di fatto indicano le variabili che meglio possono spiegare il valore del brevetto.
Ci si basa su quattro aspetti cruciali da esaminare per ricavare il valore di un brevetto: la durata della protezione; il grado di novità e non ovvietà dell’invenzione richiesto per ottenere la protezione; l’ampiezza della protezione ottenuta; la capacità di escludere gli altri dal cosiddetto inventing around [13]. Grazie a queste componenti, si possono fare delle ipotesi circa le variabili maggiormente importanti per la massimizzazione del valore di un brevetto.
Per effettuare una stima economica del valore dei brevetti è possibile far riferimento ai seguenti parametri:
1) determinazione dei costi sostenuti per la realizzazione del brevetto o da sostenere per la sua riproduzione.
Secondo tale metodo, il valore di un brevetto è determinato dalla sommatoria dei costi capitalizzati [14], sostenuti per la realizzazione del brevetto o da sostenere per riprodurlo.
2) attualizzazione dei redditi o dei flussi di cassa derivanti dallo sfruttamento del brevetto .Il valore di un brevetto è dato dalla sommatoria dei redditi attualizzati derivanti dallo sfruttamento del brevetto stesso (in termini di royalties, fatturato).
3) attualizzazione delle royalties presunte, che l’impresa pagherebbe come licenziataria se il brevetto non fosse di proprietà.
4) attualizzazione dei redditi o dei flussi di cassa differenziali [15] (incrementali). Si basa sulla quantificazione e attualizzazione dei benefici e dei vantaggi specifici del bene immateriale rispetto a situazioni “normali”, cioè di prodotti non coperti da brevettazione. Il reddito incrementale è ottenuto per differenza tra i ricavi e costi relativi al bene immateriale, con attualizzazione dei flussi differenziali e con esclusione di componenti reddituali estranei o poco rilevanti.
5) attualizzazione delle perdite derivanti dalla cessione del brevetto. Si basa sul presupposto che il venir meno della disponibilità di un brevetto è suscettibile di determinare una riduzione del fatturato. Giuridicamente ciò è assimilabile al “lucro cessante” [16].
6) valutazione del patrimonio differenziale (incrementale),attraverso indicatori del plusvalore di mercato come il Q di Tobin [17], che rapporta il valore di mercato delle attività di una società al loro valore di sostituzione/rimpiazzo. Si usa l’indice Price/Book Value, che rapporta il prezzo di borsa (di una società quotata) al patrimonio netto contabile, facendo emergere un plusvalore.
La scelta dei metodi da usare, nell’ambito di quelli sopra menzionati o di ulteriori varianti, dipende dalla tipologia di brevetto e dalle finalità e dal contesto della valutazione, ma anche dalla facilità con cui possono essere reperite informazioni attendibili e significative sul brevetto e sul mercato in cui esso si posiziona.
V. Investire in Ricerca e Sviluppo: strategie e rischi
Partendo dal presupposto che il progresso tecnico è un fattore cruciale per la crescita economica e per il miglioramento della qualità della vita, per attuare una strategia di R&S, occorre scegliere quanto investire e come investire.
In condizioni di incertezza si possono attuare due strategie alternative. Da un lato si potrebbe optare per una strategia poco rischiosa, che permetterebbe di ottenere un’innovazione relativamente esigua con elevata probabilità di riuscita. Dall’altro, una strategia molto rischiosa permetterebbe di ottenere un’innovazione relativamente grande, ma con scarsa probabilità di ingresso nel mercato.
Come noto, chi è leader del mercato punterà ad ottenere innovazioni piccole ed incrementali. Invece, imprese piccole o potenziali entranti, punteranno ad ottenere innovazioni grandi e radicali [18].
A questo punto entra in gioco la politica tecnologica. Il progresso tecnico è alla base della crescita economica e dello sviluppo. Obiettivo dei Governi è di stimolare l’investimento in R&S. Qui si posiziona il brevetto, il quale ha l’obiettivo, come più volte ricordato, di “remunerare” gli innovatori. Ma quali conseguenze apporterebbe dover accrescere la protezione brevettuale? Innanzitutto, aumenterebbero gli incentivi a investire in R&S ed il tasso di progresso tecnico ridurrebbe l’efficienza allocativa [19].
Fonte: Cabral, “Economia industriale”, Carocci, Roma, 2000.
Come si evince dal grafico sovrastante [20], un brevetto ampio consentirebbe all’innovatore di ottenere un prezzo pM per tutta la durata del brevetto. pM è dato dall’area qM(pM – c), dove qM è la quantità di monopolio, pM il prezzo di monopolio e c il costo marginale (per semplicità costante).
Se invece si optasse per una minore ampiezza [21] del brevetto a fronte di una maggiore durata dello stesso, la situazione si modificherebbe come nel seguente grafico:
Fonte: Cabral, “Economia industriale”, Carocci, Roma, 2000.
L’innovatore, infatti, si troverebbe ad affrontare una situazione di maggiore concorrenza e pertanto non potrebbe fissare un prezzo maggiore di pL. I suoi profitti non varierebbero di molto (perderebbe A ma guadagnerebbe C) e migliorerebbe l’efficienza allocativa (qL>qM).
In sostanza, si ha che una riduzione dell’ampiezza aumenta il benessere sociale: il guadagno sociale è maggiore della perdita subita dal monopolista. Se invece si fosse ridotta la durata, la perdita del monopolista sarebbe stata pari al guadagno della collettività.
Dall’analisi fin qui condotta, si tenderebbe a scegliere un brevetto di lunga durata, ma di ridotta ampiezza. Tuttavia, un’ampiezza limitata potrebbe creare dei problemi. Supponiamo che in un laboratorio si ottenga un’innovazione di base. Si potrebbero verificare due condizioni.
Da una parte (A), il laboratorio brevetta l’innovazione, con una conseguente protezione limitata in termini di ampiezza. Le imprese concorrenti, dal canto loro, possono usufruire sull’innovazione resa pubblica per incrementarla. Ciò sarebbe un bene per l’interesse pubblico.
Dall’altra parte (B), il laboratorio non brevetta l’innovazione, mantenendola segreta, e ha maggiori probabilità di ottenere esclusive innovazioni incrementali, con una protezione di ampiezza limitata.
È evidente che il laboratorio preferirà la soluzione B alla soluzione A, benché per l’interesse pubblico la soluzione A sarebbe la migliore.
Ogni impresa, inoltre, avrà forti incentivi ad investire in R&S. Gli alti investimenti in R&S rappresentano, infatti, un aspetto positivo dato l’alto valore sociale dell’innovazione.
Una prospettiva alternativa si ottiene se si definisce in maniera diversa l’ampiezza del brevetto. Infatti, se la si considera in termini delle spese in R&S che devono essere sostenute per produrre un’ imitazione della innovazione senza che questo costituisca una violazione del brevetto, allora possiamo definire l’ampiezza del brevetto elevata se le spese di R&S sono elevate, l’ampiezza del brevetto stretta se le spese di R&S per ottenere l’imitazione sono basse. In questo caso un brevetto di lunga durata dà incentivi ai potenziali imitatori di sviluppare imitazioni poiché si dà loro la possibilità di recuperare i costi. Se l’ampiezza è elevata, questi costi sono elevati.
Si può dimostrare che, in questo caso, può essere ottimale avere un brevetto dalla durata breve e ampiezza elevata. L’intuizione è la seguente: le spese in R&S delle imprese imitatrici sono uno spreco dal punto di vista sociale, essendo dirette a produrre un’imitazione di un bene esistente invece che un bene nuovo. Un brevetto ampio in questo caso permette di evitare che queste spese siano sostenute. Il fatto stesso che sia ampio permette all’innovatore originario di godere di un potere monopolistico che gli permette di praticare prezzi elevati, e quindi recuperare le proprie spese di R&S, sebbene per un periodo più breve.
In altre parole, è vero che è possibile che i benefici sociali siano annullati dai costi sostenuti per la ricerca quando questa si svolge come una gara (patent race) tra potenziali innovatori. Può verificarsi però che “troppe” imprese, rispondendo agli incentivi privati, partecipano alla gara e alla fine le risorse spese complessivamente sono eccessive rispetto a quanto sarebbe ottimale dal punto di vista sociale. Inoltre, una maggiore durata del brevetto garantisce maggiori profitti di monopolio e dunque, per fornire incentivi ai potenziali innovatori, la durata ottimale dovrebbe essere infinita. L’importante è che i profitti di monopolio siano sufficienti a rimborsare i costi della ricerca. Una durata elevata, infine, aumenta la portata dell’inefficienza associata al mantenimento delle posizioni di monopolio, quindi aumenta i costi sociali della proprietà brevettuale. Dal punto di vista del benessere sociale la durata dovrebbe essere nulla.
La durata ottimale deve dunque tenere presente questi due effetti di segno opposto, e dunque è comprensibile che in pratica i brevetti abbiano durata finita. Se venisse stabilita una durata breve, che quindi garantirebbe profitti di monopolio bassi, alcuni progetti, cioè quelli con costi di ricerca elevati, non verrebbero realizzati. É però possibile che questo effetto negativo sia più che bilanciato dal guadagno in termini di benessere che si potrebbe ottenere dal fatto che la durata breve rende di pubblico dominio in tempi ristretti alcune innovazioni, e questo aumenta il benessere sociale.
Ci sono tuttavia notevoli differenze tra l’approccio europeo e quello statunitense in materia.
Infatti, nel primo caso, il Trattato di Roma proibisce accordi che distorcono la concorrenza.
Conformemente all’Art. 81: “Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza…” [22].
L’esenzione in blocco per gli accordi di ricerca, determina una riduzione dei rischi finanziari e consente di assemblare un insieme di risorse intellettuali promuovendo il trasferimento tecnologico. Negli USA [23], al contrario, secondo il National Cooperative Research Act (1984), è compito dell’autorità antitrust valutare gli accordi di ricerca caso per caso, con una politica comunque più restrittiva rispetto all’esenzione in blocco attuata dall’Unione Europea.
In sostanza, il legislatore UE è indotto a promuove la cooperazione, mentre il legislatore USA è orientato alla promozione della concorrenza.
VI. Conclusioni
Costruire l’economia della conoscenza richiede prima di tutto saper attribuire un valore, un prezzo alla conoscenza seguendo un metodo standardizzato e condiviso tra i diversi attori del mercato. Solo così la conoscenza diventa un bene che può facilmente circolare ed essere riconosciuto come valore da tutta la società [24]. La capacità di crescita di un sistema economico dipende anche dalla sua capacità di saper rappresentare i diritti di proprietà pertinenti, compresi, soprattutto nel contesto attuale, quelli sulla conoscenza.
Come lo sviluppo delle moderne economie è legato all’introduzione del diritto di proprietà ed alla certezza dei contratti, allo stesso modo la tutelabilità dei diritti di brevetto e di marchio possono svolgere una funzione di leva per lo sviluppo economico, garantendo l’affidabilità delle relazioni economiche all’interno dei mercati dell’economia della conoscenza.
Fermo restando che la conoscenza è fondamentale per lo sviluppo economico e che la conoscenza facilita la produzione di conoscenza sorge per un’autorità pubblica (solitamente l’Antitrust) un trade-off: proteggere o meno l’innovatore?
In caso di risposta affermativa, l’attività di ricerca e sviluppo, che è costosa e rischiosa, viene stimolata e questo produce indubbiamente un bene per la collettività, come analizzato in precedenza. Può però accadere che, un’eccessiva protezione, crei una situazione di monopolio, con perdite da inefficienza allocativa per la collettività. Il monopolista, infatti, ha forte potere di mercato, ossia capacità di applicare prezzi alti rispetto ai costi, ma come ben noto questo meccanismo riduce il numero di persone che potrebbero permettersi di comprare il bene o il servizio. Inoltre, un’eccessiva protezione non favorisce la trasmissione di conoscenza, che è fondamentale per produrre altra conoscenza.
Se, al contrario, la protezione dell’innovatore è blanda (e sono quindi favoriti gli imitatori), si avrebbero scarsi incentivi ad innovare (perché poi si verrebbe facilmente imitati), e così si bloccherebbe la ricerca, con ripercussioni notevoli sulla collettività.
Se prima del XX secolo le economie di scala lasciavano intravedere grandi imprese quali soggetti al comando del mercato competitivo, con l’ingresso nell’attuale economia della conoscenza, le micro, piccole e medie imprese hanno iniziato a giocare un ruolo strategico fondamentale. Oggi rappresentano, infatti, il terreno fertile dell’attuale sistema economico, e da sole coprono il 90% del tessuto imprenditoriale in molti Paesi del mondo. Creano impiego, permettono la crescita dell’economia nazionale, delle esportazioni e degli investimenti. Ma nonostante la grande vitalità dalla quale traggono forza e che spesso costituisce la propria principale spinta, le Micro, Piccole e Medie imprese non sfruttano ancora appieno le risorse competitive offerte dal sistema della proprietà intellettuale.
È essenziale quindi, nel passaggio verso una economia ad alto contenuto immateriale, fermarsi a riflettere sul ruolo determinante di specialità industriali quali sono i marchi, i brevetti ed il diritto d’autore.
Note bibliografiche:
[1] Cfr.: World Patent Information “Intellectual property rights. Imperatives for the knowledge industry”, Volume 22, Issue 3, September 2000, Pages 167-170.
[2] Cfr: Arrow, “Economic Welfare and the Allocation of Resources for Invention”,Priceton University Press, 1962.
[3] Il numero di domande di brevetto presentate dai soggetti economici di un territorio riflette la capacità di invenzione e innovazione manifestata dal territorio stesso, mostrando come lo sviluppo di competenze e conoscenze possa produrre valore e vantaggi competitivi ed essere trasformato in potenziale economico. I brevetti sono infatti correlati strettamente con i processi innovativi poiché ne sono la “codifica” in caso di effettiva novità, utilità e creatività. Tali indicatori misurano l’output delle attività di ricerca e innovazione. Prendono in considerazione il numero di richieste di brevetto presentate annualmente all’European Patent Office (EPO) dai soggetti come imprese ed inventori, rapportato alla popolazione totale espressa in milioni di abitanti.
[4] Art. 60 C.P.I. – Durata: Il brevetto per invenzione industriale dura venti anni a decorrere dalla data di deposito della domanda e non può essere rinnovato né può esserne prorogata la durata.
[5] Gli strumenti a tutela del segreto industriale sono rappresentati da norme di varia natura:
-in primo luogo vengono sanzionati penalmente i comportamenti lesivi del segreto professionale e del segreto industriale (artt. 622 e 623 c.p.);
-in secondo luogo un obbligo di segretezza è previsto, ai sensi dell’art. 2105 c.c., nei confronti del dipendente, per la durata del rapporto di lavoro, prorogabile con un patto di non concorrenza;
-infine, a seguito dell’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio del 1995 (TRIPs), che ha determinato l’introduzione nella legge italiana sui brevetti dell’art. 6-bis, la tutela del segreto è stata esplicitamente inserita nella tematica della concorrenza sleale.
[6] Con il termine patent pool si allude essenzialmente ad una operazione con la quale alcuni titolari di IPRs assegnano i loro diritti ad una struttura centrale (cd. Common lincensing administrator) affinché questa possa offrire sul mercato una licenza comune che copra l’intero portafoglio di brevetti ad essa concessi. Cfr: R.P. Merges, “Institutions for Intellectual Property Transactions: The Case of Patent Pools”, Berkeley Center for Law and Technology (1999), in <http://www.law.berkeley.edu/institutes/bclt/pubs/merges/>.
[7] Sotto il profilo strettamente giuridico, la circolazione dei diritti patrimoniali può avvenire mortis causa, secondo le regole ordinarie di diritto successorio, oppure inter vivos, secondo due modelli diversi che sono la cessione e la licenza.
[8] L’ultimo passo della riforma del diritto della Concorrenza UE è rappresentato dal Regolamento (CE) n. 772/2004 della Commissione del 27 aprile 2004 relativo alla applicazione dell’art. 81, para 3, del Trattato CE a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia (d’ora in avanti, il “Regolamento TTBE”).
[9] Cfr: Pitkethly, “The Valuation of Patents”, The Said Business School, University of Oxford, 1997.
[10] Cfr: Reitzig, “Valuing Patents and Patent Portfolios from a Corporate Perspective- Theoretical Considerations, Applied Needs, and Future Challenges”, UNECE, 2002 .
[11] Cfr: Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD),“Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations”, Paris, July 1995.
[12] Cfr: R. Ferrata, “La valutazione delle tecnologie”, 2000.
[13] Indurre la duplicazione degli sforzi innovativi.
[14] I costi capitalizzati o costi pluriennali sono dei costi sostenuti da un’impresa all’interno di un esercizio economico che però non vengono considerati all’interno del conto profitti e perdite in quanto non sono di competenza esclusiva dell’esercizio. Vengono pertanto “capitalizzati”, ovvero portati all’attivo di stato patrimoniale.
[15] Flusso di cassa attualizzato (Discounted cash flow): attualizzazione dei flussi monetari differenziali associati al progetto d’’investimento attraverso l’utilizzo di un tasso di attualizzazione di riferimento. La somma algebrica delle entrate ed uscite attualizzate rappresenta il Valore Attuale Netto (VAN).
[16] Cfr.: Le componenti del danno ex 1223 c.c.: danno emergente e lucro cessante. Il lucro cessante si riferisce alla violazione di un diritto non ancora maturato, un bene non ancora presente nel patrimonio del soggetto, il cui ristoro è legato alla impossibilità di realizzare l’arricchimento tipico dell’acquisizione di un nuovo diritto. E che, di conseguenza, si proietta nel futuro, richiedendo una ragionevole certezza in ordine al suo accadimento.
[17] Cfr.: J. Tobin, “A general equilibrium approach to monetary theory”, Journal of Money Credit and Banking, 1969, 1, 1 (20-29).
[18] L’innovazione radicale di prodotto è data da un bene in cui l’uso, le prestazioni, le caratteristiche, gli attributi, l’uso dei materiali e componenti differiscono significativamente rispetto a quelli precedenti. L’innovazione incrementale di prodotto si ha invece quando le prestazioni dello stesso sono sensibilmente migliorate. L’innovazione radicale di processo comporta metodi di produzione sostanzialmente nuovi rispetto a quelli convenzionali, mentre l’innovazione incrementale di processo offre l’opportunità di operare con tecniche di produzione superiori rispetto al passato. Le innovazioni radicali e incrementali di processo mirano a produrre prodotti nuovi o migliorati, che non potrebbero essere ottenuti con i processi attuali, o a produrre beni esistenti con minor costo o minore impatto ambientale.
[19] Cabral L. (2000), “Economia industriale”, Carocci, Roma.
[20] Modello di Nordhaus (1969).
[21] Ampiezza del brevetto (breadth): il monopolio concesso dal brevetto sarebbe inutile se limitato esattamente all’invenzione originale. L’ampiezza del brevetto fa riferimento ai prodotti che eventuali concorrenti possono o non possono produrre. In generale l’ampiezza del brevetto è un concetto più ambiguo di quello della durata, che viene stabilita in modo inequivocabile per legge. Nella legge americana si ritrova una definizione di ampiezza nella dottrina degli equivalenti: il brevetto copre ogni prodotto contro prodotti che “fanno lo stesso lavoro, sostanzialmente nello stesso modo, per raggiungere sostanzialmente lo stesso risultato”. Questo principio, accolto negli USA, non lo è in altri paesi. Anche in questo caso si ha che un brevetto ampio garantisce maggiori incentivi agli innovatori, ma allo stesso tempo limita la possibilità per altri produttori di fare concorrenza producendo prodotti “simili”, e quindi genera inefficienze da monopolio. In generale, una durata elevata o un’ampiezza elevata danno forza elevata al brevetto, viceversa una durata breve o un’ampiezza ridotta.
[22] Regolamento (CE) n. 2659/2000 della Commissione, del 29 novembre 2000, relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato a categorie di accordi in materia di ricerca e sviluppo [Gazzetta ufficiale L 304 del 5.12.2000]
[23] Quasi l’intero edificio della legislazione antitrust federale negli Stati Uniti poggia su tre pilastri fondamentali: lo Sherman Act del 1890, il Federal Trade Commission Act, che crea l’agenzia antitrust chiamata Federal Trade Commission, e il Clayton Act, entrambi del 1914. Sono anche importanti le “guidelines” via via emesse dalla Federal Trade Commission o dal Dipartimento (cioè il ministero) di Giustizia.
[24] Cfr: Malerba F. (2000), “Economia dell’innovazione”, Carocci, Roma (capp. 1, 5 e 10).
Bibliografia:
- Arrow, “Economic Welfare and the Allocation of Resources for Invention”, Priceton University Press, 1962.
- Cabral, “Economia industriale”, Carocci, Roma, 2000.
- Ferrata, “La valutazione delle tecnologie”, 2000.
- Foray, “L’Economia della Conoscenza”, Il Mulino, 2000.
- Malerba, “Economia dell’innovazione”, Carocci, Roma, 2000.
- Merges, “Institutions for Intellectual Property Transactions: The Case of Patent Pools”, Berkeley Center for Law and Technology (1999).
- Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), “Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations”, Paris, July 1995.
- Pitkethly, “The Valuation of Patents”, The Said Business School, University of Oxford, 1997.
- Reitzig, “Valuing Patents and Patent Portfolios from a Corporate Perspective – Theoretical Considerations, Applied Needs, and Future Challenges”, UNECE, 2002.
- Tobin, “A general equilibrium approach to monetary theory”, Journal of Money Credit and Banking, 1969.
- Vanzetti – Di Cataldo, “Manuale di diritto industriale”,Giuffrè, Milano, 2000.
- World Patent Information “Intellectual property rights. Imperatives for the knowledge industry”, Volume 22, Issue 3, September 2000.
Sitografia: